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LA CUBA DI COMPAY SEGUNDO

L’abbiamo respirata, l’Alma de Cuba; e anche assaggiata: i Rum, il mojito, i sigari pregiati. L’isola caraibica rimane però l’ombelico della musica e Chan Chan diventa l’eco dei nostri ricordi: un brano dalla struttura scarna, quasi debole. Quattro accordi si ripetono di continuo, con le strofe che viaggiano tra le improvvisazioni degli strumentisti.
E’ la musica cubana, quella vive nel brano di Compay Segundo; e in essa occorre lasciarsi andare, come in una danza. Del resto, già nelle strofe c’è il ritmo, quello del viaggio; come anche l’amore: il senso della vita.

L’abbiamo suonata, Chan Chan, con una chitarra di un cubano. I quattro accordi erano facili, ma era bello sentirsi partecipi degli assoli degli altri chitarristi, che entravano con un’intesa antica. La spiaggia faceva il resto, ed emergevano l'amore e la nostalgia di quel viaggiatore per la sua amata, mentre era in viaggio attraverso l’Alto Cedro e Marcané e poi tra Cueto e Mayarí. Le strofe poi parlano dei due innamorati, Juanica e Chan Chan, mentre giocano sulla sabbia in riva al mare. Tutto si ripete, quasi di continuo, come dovrebbe essere per i sentimenti quando vivono di nostalgia.

Cuba è anche questo: conferma di continuo; e Compay Segundo lo sapeva bene. Il tempo è quello che batte, scandendo, senza trascorrere: come quel sigaro che non finisce mai, il mojto che chiedi una volta di più, o quell’auto anni ’50 che ti riporta in albergo. La troverai il mattino seguente.

Non dimentichiamolo: il 18 novembre 1787 nasce Louis-Jacques-Mandé Daguerre, un artista, pittore e fotografo francese, tra l’altro creatore del teatro diorama. Lui è diventato famoso per lo sviluppo del dagherrotipo, uno dei primi metodi di successo della fotografia. Ne abbiamo parlato gli scorsi anni.

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IL PROGETTO FOTOGRAFICO DI AUGUST SANDER

Quando proviamo a parlare di August Sander (nato il 17 agosto 1876) rimaniamo sempre affascinati e turbati allo stesso tempo. Lui è stato l’autore del più vasto progetto fotografico di sempre. Come dice il Newhall, «nel 1910 diede avvio a un ambizioso programma: creare un ampio atlante di tedeschi di ogni classe, di ogni estrazione sociale. Non cercò la personalità individuale, ma i tipi rappresentativi di professioni, mestieri, attività diversi, nonché i membri di gruppi sociali e politici. Intitolò il suo programma “L’uomo del XX secolo”». Sander, contrariamente ad altri suoi colleghi, non si concentrò solo sulle classi povere, sulla miseria e le situazioni marginali della società, mettendo invece sullo stesso piano: nobili, disoccupati, manovali, studenti e senza tetto.

I ritratti di August Sander non hanno niente di sperimentale. Luce e composizione sono “normali”. C’è però molto dell’autore in ogni immagine. Come diceva Susan Sontag: «Senza rendersene conto Sander adattava il suo stile al rango sociale della persona che fotografava». Ai manovali aggiungeva una scenografia, con degli oggetti che potessero definirli meglio; mentre le classi agiate venivano inserite in ambiti più naturali. Lui si avvicinava ai soggetti verso quali si percepiva più affine.

Nello scatto Sander usava una sua lentezza, di certo necessaria: quella del grande formato e dei negativi di vetro; e per questo era quasi fuori moda. Forse aveva bisogno di riflettere oppure voleva mettere insieme le idee maturate in anni di progetto. Il risultato però rimane eloquente: ogni ritratto è potente, sin dall’espressione. I volti, tutti, mostrano un’angoscia di fondo, giustificabile visto il momento storico. C’era stata la guerra e se ne propinava un’altra, in uno scenario economico drammatico. Sander ha comunque salvato il suo tempo, regalandolo al mondo; restituendo anche una metodica, che di certo ha offerto spunto ad altri ritrattisti, per anni.

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MARIO SOLDATI, L’AUTORE INNOVATORE

Per parlare di Mario Soldati, nato il 16 novembre 1906, ci siamo assunti una forte responsabilità: quella del titolo. “L’autore innovatore”, infatti, potrà apparire come banale, desueto, forse inadeguato. Guardando però in rete le sue trasmissioni, ci siamo accorti come lui abbia suggerito idee e novità, dove la modernità ne usciva sempre con forza. Del resto, non è emersa in noi la nostalgia del passato (come spesso accade quando si guarda a ritroso), ma una sorta di felicità indotta: quella giusta, che si somma alla soddisfazione di aver compiuto la scelta corretta.

Mario Soldati ha raggiunto il successo in vari ambiti. Come saggista, era coinvolgente e provocatorio. È conosciuto come l’autore di America primo amore, una raccolta di saggi ristampata più volte da quando è stato pubblicata per la prima volta nel 1935. Nel 1957 Soldati gira per la Rai il primo "reportage enogastronomico": è infatti l'ideatore, regista e conduttore dell'inchiesta televisiva Alla ricerca dei cibi genuini - Viaggio nella valle del Po, una delle trasmissioni più fortunate della televisione italiana; considerata un documento d'importanza antropologica. Con il Viaggio nella valle del Po nasce la figura del giornalista enogastronomico televisivo.

Mario Soldati è ormai riconosciuto come uno dei grandi narratori del Novecento italiano, scrittore raffinato, geniale creatore d’intrecci, maestro d’investigazioni morali, inventore di colpi di scena. Soldati è stato anche attivo nel settore cinematografico come regista e scrittore di sceneggiature. Ecco cosa ha detto circa il grande schermo: «Ho davvero molto amato il cinema. Per lo stile di vita vorrei farlo tuttora, ma vorrei che non uscisse nulla dalla macchina da presa. Amo la vita del cinema, amo la regia, ma non accetto che poi ci sia qualcosa da dover vedere: ogni cosa dovrebbe finire lì».

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LA MILANO DI MARIO DE BIASI

Siamo reduci dalla presentazione di una mostra, “Mario De Biasi e Milano” (Milano, museo diocesano Carlo Maria Martini, dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024). Ecco cosa dice Maria Vittoria Baravelli, curatrice dell’esposizione assieme alla figlia del fotografo: «Il Duomo, la città, la gente e la moda, senza ordine o punteggiatura. Milano diventa quinta e campo base, luogo di una danza infinita da cui De Biasi parte per tornare sempre, dedito a immortalare dalla Galleria ai Navigli, alla periferia, una città che negli anni cinquanta e sessanta si fa specchio di quell'Italia che diventa famosa in tutto il mondo». In effetti, di fronte a delle stampe d’epoca, ci simo visti a passeggio per la città, quella cantata da Gaber e Dalla, la stessa che “fa una domanda in tedesco e ti risponde in siciliano”. E noi, guardando, abbiamo camminato tra luoghi conosciuti e altri da scoprire, ma mossi da un desiderio contagioso: quello di comprendere un tempo e una cultura, le radici di un modo di vivere che avrebbe contaminato tutta l’Italia.

Non siamo qui soltanto a proporre una visita all’esposizione (che caldeggiamo), ma a sottolineare il linguaggio del fotografo di Sois (Belluno): un misto di curiosità e passione, che alla fine trabocca in un atto d’amore, quello dedicato a Milano appunto, la città che lo ha accolto e nella quale tornava volentieri alla fine dei suoi viaggi in giro per il mondo.
De Biasi non tradisce uno dei dettami della fotografia: guardare dentro se stessi, comprendere le proprie visioni, dipanare il racconto della prossimità.

Siamo soddisfatti della visita. Ne abbiamo colto uno sguardo lucido ed evocativo al tempo stesso, capace di narrare con immediatezza e originalità un momento controverso della storia d’Italia. Nelle trame ordinate dei suoi scatti abbiamo letto i cambiamenti storici e culturali del Paese, che negli anni ’50 e ’60 andava assestandosi su una rinnovata identità culturale.

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