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PASQUARELLI, FOTOGRAFO E INVENTORE

Ci sono personaggi che hanno offerto un contributo importante alla fotografia e non solo, ma che finiscono per essere dimenticati, alle volte ingiustamente. Nel giorno in cui nasceva Walt Disney (1901) e iniziava la febbre dell’oro negli USA (1848), veniva alla luce Oreste Pasquarelli fotografo, inventore e appassionato musicista. E’ giusto ricordarlo, anche se con poche parole (anche le fonti sono misere).

Oreste Pasquarelli nacque a Giarole il 5 dicembre 1846. La sua famiglia era al servizio dei marchesi Gozzani di Treville, il che gli ha permesso di essere vicino all’arte sin dalla tenera età. Raggiunti i vent’anni, s’iscrisse alla facoltà d’ingegneria a Torino, anche se non portò a termine gli studi. Incontrò invece il musicista Pedrotti, che gli permise di perfezionare il proprio talento musicale, fino a ricoprire il ruolo di Direttore del coro presso il Teatro Regio di Torino. Nel 1885 sposò a Casale Monferrato Augusta Massazza. Dalla coppia, nel 1886, nacque Maria.

La passione che nutriva per la musica e per l’arte lo introdusse negli ambienti alto borghesi, dove strinse una solida amicizia con lo scultore Leonardo Bistolfi, già compagno di scuola della moglie Augusta.
Anche altri artisti piemontesi frequentavano casa Pasquarelli: lo scultore Lorenzo Vergnano, il pittore Luigi Onetti e Francesco Negri il celebre fotografo col quale scattò la fotografia di Piazza Castello di Casale Monferrato utilizzando una macchina da lui progettata, il “Fotoperigrafo”.

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SI SCIOLGONO I LED ZEPPELIN

4 dicembre 1990: si sciolgono i Led Zeppelin, il famoso gruppo rock. La copertina del loro primo disco riportava la fotografia scattata quando il dirigibile Zeppelin urtò la torre di ancoraggio al suo arrivo a Lakehurst nel New Jersey. Il dirigibile divenne il logo che accompagnerà il complesso per tutta la durata della sua lunga carriera.

Sicuramente abbiamo già parlato dello Zeppelin e della fotografia che lo riguarda, ma questa volta vogliamo soffermarci sul gruppo. La formazione prevedeva Jimmy Page (chitarre), Robert Plant (voce, armonica) John Paul Jones (basso, tastiere) e John Bonham (batteria, percussioni). Il chitarrista della band occupa la terza posizione nella classifica di Rolling Stone USA, stilata nell’autunno che stiamo vivendo. Lo precedono Jimi Hendrix e Chuck Berry. Per noi appassionati delle “sei corde” non è poco.

Il nome della band all’inizio doveva essere “The New Yardbirds”, conservando quanto si portava dietro il chitarrista Jimmy Page. In seguito verrà scelto Lead Zeppelin e infine Led Zeppelin, per evitare ambiguità con la parola “lead”.
Sulla copertina dell’album è riportata la fotografia in bianco e nero che raffigura lo Zeppelin incendiato durante il disastro avvenuto nel 1937. Sarà una delle cover simbolo di tutta la storia del Rock.

Un album d’esordio non era mai riuscito a dimostrare così tanta forza. Lo stile della band risultava già forgiato, nuovo nel panorama musicale di quel momento.

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SALUTIAMO IVO SAGLIETTI

Terribile, impossibile a credersi: ci lascia Ivo Saglietti, deceduto all’ospedale di Genova all’età di 75 anni. Mancherà alla fotografia tutta, per il solo fatto di non essere più tra noi. La sua presenza garantiva l’esistenza del reportage, il fatto che qualcosa potesse ancora andare avanti in quella direzione. Da oggi rimarrà solo il suo esempio, da seguire accuratamente, con religiosa attenzione.

Chi scrive, non l’ha mai conosciuto di persona, avendo dialogato con lui solo al telefono. La sua parola, però, chiara e lucida, dimostrava come la sua fotografia fosse nata da una vocazione già presente, impetuosa. Lui possedeva cultura, linguaggio, umanità, che poi manifestava con un impegno continuo nei confronti dell'uomo e delle sue sorti. Guardando e riconoscendo le sue immagini, delicate e rispettose anche nei momenti difficili, siamo indotti a dire (forse con un po’ di presunzione) che l’arte dello scatto esistesse in Saglietti come una vita parallela, in continuo scorrimento, sulla quale lui saltava quando necessario. Ecco che l’istante decisivo diventava la scelta decisiva, un tempo allungato nel quale elargire la propria umanità.

Leggiamo, in un’intervista, come i suoi inizi da fotografo siano stati influenzati da Eugene Smith, il grande fotografo americano che considerava insieme con Henri Cartier-Bresson il suo punto di riferimento. Di strada, però, quel principiante ne ha percorsa tanta e tre World Press Photo ne sugellano il valore. «Ci s’incontrava da Parolini, a Milano», ci dice Vincenzo Cottinelli, «A chiacchierare su pellicola, Leica M, carte da stampa. Grande lavoratore, sempre in giro, era impegnato a raccontare l’umanità; non a caso, una forte amicizia lo legava a Mario Dondero».

La fotografia è una disciplina relazionale (anche) e Saglietti lo sapeva bene. Come dicevamo, ci resta un esempio da seguire. Un po’ poco, ma dobbiamo accontentarci.

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KAREN BLIXEN PARTE PER L’AFRICA

2 dicembre 1913, Karen Blixen, scrittrice danese, parte per l'Africa con il barone Bror von Blixen-Finecke, suo cugino e fidanzato (che poi sposerà). Acquisterà una fattoria, per vivere lontano dalla civiltà e cambiare la sua vita. L'esperienza la porterà a scrivere il romanzo autobiografico "La mia Africa", dal quale verrà tratto l'omonimo film. Noi l’abbiamo visto più volte, come spesso abbiamo riletto alcune frasi del libro, sottolineate con cura, tipo: «Gli uomini se ne vanno quando il loro coraggio viene messo alla prova. Di noi ciò che viene messo alla prova è la pazienza, il saper vivere senza di loro».

Chi era però Karen Blixen? Di certo uno spirito ribelle, forse una donna combattiva, anche se questo non traspare dalla pellicola e nemmeno nel libro. Del resto, nella prima parte della sua vita aveva vissuto la placida routine della campagna danese, ma anche gli agi, i pettegolezzi e le mollezze degli ambienti abbienti della vicina Copenaghen. Nei salotti si annoiava profondamente, quasi sentendo che la vita le stesse sfuggendo dalle mani, senza aver provato emozioni reali e autentiche.
Era anche romantica, Karen; profonda nel suo sentimento, che non avrebbe mai trovato nei luoghi comuni della vita civile. Ripete più volte nel film: «Forse lui sapeva, al contrario di me, che la terra è stata fatta rotonda perché non potessimo guardare lontano».

“La mia Africa” viene etichettato come un romanzo autobiografico, e di certo lo è: narra la storia di una donna, vissuta in prima persona. In qualche spunto, però, il testo assume la forza e il carattere di un saggio, circa la vita, l’amore, il destino. Che dire? Karen era anche poliedrica e amava nascondersi dietro alti nomi: al femminile, da Isak Dinesen a Tania Blixen, fino a Pierre Andrézel. I lavori pubblicati erano realmente suoi? Non vogliamo, né possiamo, esprimerci a riguardo. Hemingway, quando gli consegnarono il Nobel, disse che il premio avrebbe dovuto essere assegnato anche a colei che aveva cercato la vita in Africa. Non è poco.

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