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60 ANNI FA IL VAJONT

9 ottobre 1963, sono le 22,39. Una frana si stacca dal versante settentrionale del monte Toc, cade nel bacino della diga del Vajont e produce un’onda gigantesca che supera la diga e si riversa a valle. Muoiono quasi 2000 persone.

Quel 1963 è un anno che lascerà un segno: il 3 giugno morirà Giovanni XXIII (il papa buono); il 22 novembre a Dallas, in Texas, una serie di colpi di arma da fuoco raggiungeranno, uccidendolo, il Presidente degli Stati Uniti d'America John Fitzgerald Kennedy. Di mezzo c’è la guerra fredda, il fenomeno Beatles, il “dream” di Martin Luther King: tutte ventate che soffiano altrove, percepite d riflesso.
Eppure la tragedia è lì, a pochi passi, per un monte che si muove dove non dovrebbe, e sarà vento, acqua, fango; poi silenzio, su vite e generazioni. Il dolore si schiaccia in gola, perché il rammarico non trova ideologie, moventi, politiche internazionali. Ci si potrà appellare alla superficialità, agli interessi privati, ad altro ancora; ma il fango è già rappreso, sotto le scarpe dei primi soccorritori. L’evento è più grande di loro, della memoria che porteranno, del silenzio che hanno ascoltato. E’ arrivato sino a oggi, quel silenzio; e non saremo certo noi a interromperlo. Lo facciamo per rispetto: al cospetto dei tanti che hanno urlato dentro il nulla, con poca memoria a ricordarli.

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TULLIO FARABOLA, FOTOGRAFO DA RICORDARE

Abbiamo appena acquistato due libri di Tullio Farabola. Lo abbiamo fatto per colmare un vuoto conoscitivo enorme, nostro innanzitutto. I libri di storia della fotografia che possediamo non ne fanno menzione e anche in rete si trova poco, se non in Wikipedia: un sito che non vogliamo frequentare, per rispetto verso noi stessi; perché assaggiare non vuol dire conoscere e nemmeno informarsi, questo senza nulla togliere all’area web prima nei motori di ricerca (bravi).

Le domande, a questo punto, sono tante; ma si riassumono in una soltanto: come si raggiunge la notorietà fotografica? Alle volte ci rendiamo conto come siano i luoghi comuni a generare la fama, le mostre, le icone conclamate. Del resto, a rimetterci è sempre il fotogiornalismo, la cronaca: le immagini depositarie della memoria storica e dei cambiamenti nella società.

La promessa che facciamo a noi stessi è di approfondire maggiormente le conoscenze circa Tullio Farabola, per riparlarne ancora con maggiore consapevolezza.

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INIZIA LA STORIA DELLA RADIO IN ITALIA

Con un giorno di ritardo, celebriamo una data importante. 6 ottobre 1924: comincia la storia della radio in Italia. La voce della violinista Ines Donarelli, alle 21:00, annuncia l'inizio delle trasmissioni con l'esecuzione del concerto inaugurale. Ecco cosa disse: «Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto d’inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7 primo e secondo tempo».
Il Presidente dell’URI era l’ing. Enrico Marchesi (già direttore centrale della FIAT). In quel periodo esisteva una sola stazione radiofonica e trasmetteva dal quartiere Parioli. Qualche anno più tardi avrebbero aperto anche le sedi di Milano, Torino e Napoli.

La radio iniziava a entrare nelle case, con notizie, musica e intrattenimento. Chi non si è emozionato almeno una volta ascoltando la radio? Chi non ha trovato la sua canzone preferita? Chi non ha alzato il volume per ascoltare le parole di cronisti, giornalisti e deejay?
Chi scrive, ancora oggi accende ogni tanto la radio, e non solo in automobile. Ricorda con nostalgia quando i nonni ascoltavano le opere liriche il giovedì sera. Poi sono arrivati i tempi di Supersonic, trasmissione musicale, a target giovanile, che andò in onda su Rai 2 dal 4 luglio 1971 al 16 dicembre 1977, tutti i giorni, proponendo dischi di recente pubblicazione.

La radio col tempo diventò piccola, trasportabile. Ai giardini pubblici, la domenica pomeriggio, echeggiavano i risultati del campionato di calcio: solo dai secondi tempi, però; prima non si sapeva nulla.
Cambiano le tecnologie, ma la radio è ancora viva. L’automobile gli ha dato un grande aiuto, ma ormai vive anche in TV. Belli i tempi durante i quali la sue voce, d’estate, usciva dalle finestre aperte. Le cose cambiano.

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L’INDOLE ARTISTICA DI FRANK MEADOW SUTCLIFFE

Frank Sutcliffe è stato un fotografo particolare. Tranquillo e discreto, raramente si allontanò da Whitby, il paese dove visse la sua gioventù, nello Yorkshire. Eppure il suo lavoro fu apprezzato in tutto il mondo. Sutcliffe aveva inclinazioni artistiche, per via dell’influenza paterna. Iniziò a fotografare all’età di quattordici anni, ma da subito dimostrò il proprio talento; e dopo un quinquennio già vendeva i suoi sguardi su chiese e castelli a un editore.

Il matrimonio cambiò la sua vita e decise di trasferirsi nel Kent, dove aprì uno studio specializzato in ritratti. Incontrò un certo successo sin da subito, ma la competizione commerciale cozzava con la sua indole. Tanto valeva tornare laddove era nato, anche se poi la sua arte si rivelò superiore alle aspettative dei concittadini.

Frank Sutcliffe amava la fotografia, al di là dei riscontri commerciali. Cercava l’espressività, tralasciando nitidezza e dettaglio; ritraendo la gente di Whitby per come si manifestava nella vita di tutti i giorni. Faceva anche posare i suoi soggetti, quando l’occasione lo richiedeva. Per la famosa fotografia Water Rats (I topi d’acqua) egli pagò un penny per ciascuno perché i 13 ragazzini posassero secondo le sue indicazioni.

In generale, la visione delle immagini di Sutcliffe restituiscono serenità, perché tutto è naturale, spontaneo, vero. Di sicuro è riuscito a salvare il tempo dei luoghi dove è vissuto: un patrimonio invidiabile per quanto potranno (e vorranno) vedere.

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