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LA LUISA DEI BACI

Quella di Luisa Spagnoli è una storia italiana che ci piace. Lei ha lasciato il segno nel mondo della moda, ma ha anche inventato i “Baci Perugina”, i famosi cioccolatini con la nocciola intera circondati da gianduia e avvolti in una breve poesia d'amore: uno dei più conosciuti, consumato in ogni periodo dell'anno in tutto il mondo.

Luisa Spagnoli, come donna, è annoverata tra le figure femminili più influenti del primo Novecento italiano, un periodo storico durante il quale l'imprenditoria era del tutto maschile. Oltre ad aver creato il famoso “Bacio” Perugina, la caramella Rossana e la tavoletta di cioccolato Luisa, ha introdotto l’asilo nido aziendale e tutelato il diritto all’allattamento in fabbrica. La sua straordinaria vita ha anche ispirato una miniserie televisiva in due puntate, tramessa nel 2016 su Raiuno.

Se fosse nata oggi, Luisa Spagnoli occuperebbe sicuramente le copertine di decine di riviste e diventerebbe un hashtag di tendenza su Instagram o un trending topic su Twitter. Lei è stata un’imprenditrice di successo in ben due settori, la gastronomia e la moda, che almeno in apparenza hanno poco da spartire: anche questa è un’eccellenza.

Rimangono poi i bigliettini, quelli incartati con i famosi baci. Li abbiamo letti spesso, magari in compagnia, con un senso di attesa. L’idea di realizzarli è nata dall’amore esploso tra Luisa e il socio Giovanni Buitoni. Lui aveva l’abitudine di lasciare piccoli biglietti d’amore con i suoi affetti in giro per la fabbrica affinché la donna li trovasse. Da lì è nata l’ispirazione.

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COMPRENDERE L’UOMO E ME STESSO

«Comprendere l’uomo e me stesso», questo era il motto di Amedeo Vergani, nato il 29 ottobre 1944, uno dei più incisivi e originali protagonisti del fotogiornalismo italiano. «Ho scelto di fare questo mestiere per studiare l’uomo, la sua vita e i suoi problemi – spiegava in un’intervista a ‘Leica Magazine’ nel dicembre del 1995. In realtà è un sistema per capire meglio me stesso, guardandomi riflesso in coloro che incontro nel mirino della mia fotocamera e che, ovunque sulla Terra, mi sembra che mi assomiglino nel profondo sempre di più. Forse è per questo che nei miei reportage cerco di trovare situazioni fortemente cariche di quegli ingredienti del quotidiano comuni a tutti: fatica, amore, gioia, serenità, angoscia, noia, dolore».

Ferdinando Scianna diceva di lui: «Vederlo improvvisamente scattare come un centometrista, fare quella danza misteriosa, tre passi veloci, uno indietro, una piccola flessione, quel sollevarsi in punta di piedi e a te, che sei del mestiere, sembra di capire esattamente che cosa ha visto, perché quel momento e non un altro, perché quel particolare. E magari senti una fitta d’invidia».

Abbiamo potuto incontrare le opere di Amedeo Vergani nella mostra “Alle radici della nostra identità”, a Palazzo Pirelli (Milano) nel settembre 2022. L’esposizione proponeva 62 opere del fotografo: un viaggio alle radici della civiltà lombarda passata attraverso le trasformazioni degli anni Settanta e Ottanta del Novecento.

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NATO AI BORDI DI PERIFERIA

Abbiamo rubato la prima strofa di una canzone. 15 febbraio 1986, Eros Ramazzotti (nato il 28 ottobre 1963) vince Sanremo con “Adesso tu”. A metà anni ’80 non esistevano né internet, tantomeno i social. Poco dopo il Festival, in aprile, a Černobyl', in Ucraina, sarebbe esploso reattore n. 4. Nei giorni seguenti, una nube radioattiva avrebbe contaminato buona parte dell'Europa. Non solo, sempre in aprile l’esercito libico lanciava due missili verso Lampedusa. Insomma, ogni era ha i suoi guai.

C’era un’altra canzone che andava di moda in quegli anni. Era: Cosa Resterà Degli Anni '80, cantata da Raf. Il testo si poneva delle domande di continuo, come se stesse finendo un’epoca. «Cosa resterà di questi Anni Ottanta, chi la scatterà la fotografia?». Tutto cambiava, all’improvviso, anche in politica, tanto per fare un esempio. Qualcosa però è rimasto e la fotografia, quella che voleva Raf, l’ha scattata proprio Eros Ramazzotti, a se stesso, proponendo da quel l’86 in poi la voce della borgata, delle radici personali disagiate e vere: «Dove è più facile sognare che guardare in faccia la realtà” (E’ sempre Adesso tu).

A livello personale, in casa non abbiamo ascoltato spesso Eros, lasciando che fossero le fessure a portarcelo alle orecchie. Ricordiamo con affetto l’album Dove c'è musica, quello che ha animato la nostra estate del ’96. C’erano le cassette allora (stereo 4) e in macchina, quando la ricezione delle emittenti calava un poco, subito si passava ai brani del cantante romano. Ci vengono in mente: Dove c'è musica, Stella gemella, L'aurora; per un album dalla forte musicalità, facile, schietta, vera. Era il ragazzo di borgata a generarla, quello nato ai bordi di periferia.

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RICORDANDO UGO TOGNAZZI

Ugo Tognazzi muore improvvisamente nel sonno il 27 ottobre 1990 a Roma, per un'emorragia cerebrale. Ricordarlo è doveroso, anche se riferirsi alla sua carriera diventa difficile per via dei tanti film girati (quasi 150) o dei premi conseguiti (la Palma d’Oro a Cannes nel 1981 per “La tragedia di un uomo ridicolo” di Bernardo Bertolucci risulta essere una citazione obbligatoria). Grande attore, regista e sceneggiatore, Ugo Tognazzi faceva parte dell'inimitabile quintetto di attori dell'epoca d'oro del cinema italiano - Tognazzi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Nino Manfredi-, coloro che inventarono e resero popolare la commedia all’italiana.
La carriera di Tognazzi è iniziata al fianco di Raimondo Vianello nelle commedie satiriche della neonata televisione italiana degli anni '50. Le sue doti d’imitazione e improvvisazione emergono in film come “I mostri” (1963) di Dino Risi e “Una questione d'onore” (1965) di Luigi Zampa. Col tempo, i suoi ruoli divennero più acidi e introspettivi. Se il tipico personaggio di Tognazzi era virile e dissoluto, mentre si faceva strada nei letti, negli uffici direzionali e nei corridoi del potere con parole dolci, doveva anche confrontarsi con la crescente consapevolezza della propria mortalità. Nella sua filmografia, quindi, si assiste al passaggio apparentemente inesorabile di un uomo dall’ambizione sfacciata all’amaro rimorso, un uomo che cerca di preservare la sua dignità di fronte alla diminuzione delle sue abilità.

Il MoMA di New York, nel dicembre 2018, ha celebrato Tognazzi con una retrospettiva che abbracciava i suoi quattro decenni di carriera, con venticinque dei suoi quasi 150 film. E’ dal sito dell’istituzione newyorchese che sono state tratte le parole precedenti.

Tognazzi ha incarnato alla perfezione l’uomo borghese della sua epoca: cinico, sincero e divertente. I personaggi da lui interpretati attingevano molto dalla sua vita, il che andava a sommarsi alla capacità straordinaria di adattarsi a ruoli differenti.

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