| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI
Oliviero Toscani ha creato un linguaggio nuovo, ecco tutto: esplicito, reale, consapevole. Se spesso lo si definisce sovversivo, è perché risulta difficile seguirlo; abituati come siamo alle consuetudini e alle posizioni di comodo. La stessa fotografia, con lui, perde molti dei suoi paradigmi, di forma soprattutto: un bel fondo bianco e dentro ciò che diviene; anzi, un limbo illuminato e all’interno quanto sappiamo sia accaduto, ma che non vogliamo vedere.
Se affrontiamo Toscani con una logica nuova, tutto diventa più chiaro. Lui non commenta i fatti, li mostra: senza false ipocrisie o prese di parte. I media, oggi, ci spingono all’opinione duale, con un sound che convince; Toscani ci invita all’analisi, quella profonda e conoscitiva. “C’è un’ignoranza delle persone colte!”, ci dice; e noi intuiamo come questa sia figlia della presupponenza, della logica che si conforma; gettando sentenze, per giunta. Eppure l’AIDS non è il diavolo che diventa peccato, e l’anoressia vive nei modelli (mentali) e non nei comportamenti. Questioni d’opinione? No, la differenza sta nei presupposti. L’impegno, per Toscani, è un valore staminale, da assumersi con responsabilità. Da lì in poi parte la creatività, quella che non vive di sola fantasia (astratta), essendo dedicata a raggiungere un risultato tangibile; con una lauta assunzione di rischi da parte di chi la porta avanti. Ecco, sì: il nostro non ha avuto paura, mai. La sua carriera ha rappresentato una scommessa continua, volta al futuro peraltro. Siamo sicuri che in molti cercheranno di imitarlo, disobbedendo a un assioma alla Toscani: “Il già fatto non è creatività”. E poi, forse verrebbe a mancare il coraggio necessario: quello per guardare a occhi aperti ciò che non si vuol vedere. Oliviero, com’è avvenuto il tuo approccio alla fotografia? Mio padre era Fedele Toscani, il primo fotoreporter del Corriere della Sera; una mia sorella, Marirosa, era fotografa, l’altra ha sposato un giornalista. Sono cresciuto il mezzo alle fotocamere, e poi vedevo in anteprima le immagini del Corriere. Come dire: sono nato fotografo, non lo sono diventato per vocazione; il mestiere era già in famiglia. Nelle tue immagini troviamo sempre un impegno forte... Ci deve essere. Già il professionista è impegnato, di per sé; c’è chi lo è nella superficialità, ma il concetto non cambia. Quello del fotografo è un mestiere, fatto di un’arte più facile; da qualche parte devi essere impegnato. E poi, cosa vuol dire fare il fotografo? Tutti sappiamo leggere e scrivere, ma quanti veri autori esistono? Quanti poeti? Questo discorso vale anche per la fotografia. Ci sono le immagini giuste per il proprio tempo e bisogna saperle fare; ognuna di queste ha (e deve avere) una contaminazione socio – politica, anche se parla di felicità. Tra l’altro, io rispetto tutti: ognuno ha le sue voglie; ma l’impegno non sta necessariamente nel reportage. Diventa indispensabile per arrivare all’arte, trascendendo da forma e composizione. Qual è il valore dell’immagine?Diventa limitante? Persuasiva? Condizionante? O cosa? No, è soggettiva; perché vista dagli occhi di chi la scatta, dal suo angolo di osservazione. In realtà la fotografia ha cambiato la lettura della storia, forse facendola nascere nella sua veste moderna. Se in passato ci fosse stata la macchina fotografica, avremmo da vergognarci di tante cose: le Crociate, Napoleone; così abbiamo capito come l’uomo dovesse essere controllato. L’immagine rimane comunque un documento, anche i piccioni di Gianni Berengo Gardin. Fare fotografia significa rendersi conto del tempo in cui viviamo, di qual è la cosa da capire, di qual è la condizione umana in questo momento. Tu ti occupi spesso di pubblicità, che comunque condiziona... No, io faccio immagine. Del resto, pubblicità sta a significare tutto ciò che è pubblico. La Cappella Sistina è pubblicità, anche perché allora i pittori dipingevano per il potere. Non parlerei poi di condizionamento; ognuno tira fuori ciò che ha tra cuore e cervello, con il coraggio dovuto. Io non lavoro per agenzie, e nemmeno su layout o progetti. Il marketing vuole il successo e lo ascolto, poi faccio il contrario. Recentemente hai ritratto l’Orchestra Filarmonica della Scala facendo volare gli orchestrali... Mi divertiva. Trovo noiosa l’immagine classica dell’orchestra che suona: sono tutti seduti, con uno in piedi che si agita. Volevo ritrarre ciò che i musicisti emettono, così loro stessi sono diventati musica, note; perdendo la forza di gravità. C’è, tra le tue, una foto alla quale sei particolarmente affezionato? Non ricordo tanto una fotografia, quanto il progetto d’insieme. La più bella immagine della campagna Benetton è quella che ritrae una mano di colore che porge del riso. A me piace togliere, non aggiungere. Di fronte a certe immagini di moda rimango quasi imbarazzato, per via dell’eccessiva complicazione. Eppure c’è una tendenza verso la complessità, almeno in fotografia... Perché è più facile. Coloro che, a parole, si esprimono in maniera complicata in realtà non hanno nulla da dire. Lo stesso vale per la moda: un’immagine che la riguardi non deve rappresentare un monumento. Per me un blu jeans va indossato con una maglietta bianca, e niente intorno. Un paragone con la dialettica politica viene quasi naturale... Sì, dire tanto per non pronunciare nulla. E poi, se sei un mediocre, fai il politico. La tua fotografia sembra dedicata a domani, al futuro. Pensare che spesso abbiamo fotografato per ricordare... Non seguo né mode, tantomeno tendenze. Faccio le cose che mi sento di affrontare, nei termini della capacità. Sono un testimone del mio tempo, ecco tutto; ed è per questo motivo che rimango moderno. Le mode passano. E poi m’interessano l’atteggiamento, lo sguardo, l’anima; certo non la forma. Vorrei fotografare l’aria, tutto ciò che intangibile. Dicono sia impossibile, per il fatto che non puoi ritrarre l’invisibile. Io sono del parere contrario. Cos’è per te la creatività? Anticonformismo? L’inesplorato? L’assunzione di un rischio? Cosa d’altro? Il termine non racchiude significati astratti. Un risultato raggiunto con coraggio esprime creatività, come conseguenza; allo stesso modo di un gesto portato avanti nella massima incertezza. Ecco, sì: l’insicurezza rappresenta il massimo della creatività, la incarna, ne diventa un sintomo. Non bisogna cercare il consenso, perché significherebbe che un qualcosa è già stato fatto. Ci vuole tanta incoscienza, per essere creativi: tra rischio e coraggio; senza peraltro poggiare sull’esperienza. Bello il concetto del rischio, dell’incertezza... Il rischio è quello relativo al futuro, al tempo che sarà. Bisogna credere in se stessi, facendo solo ciò si è in grado di portare a termine. Ci vuole anche emozione, generosità, fede: fa quasi paura. I manager, quelli del marketing, sanno pensare, ma mettono in discussione i dati. In generale tutti vogliono andare dove sono già stati, così guardano lo specchietto retrovisore. La creatività è altrove. Senza girarci attorno, parliamo di fotografia ... È l’arte più facile. Posso scattare delle immagini mettendo la fotocamera attaccata all’orecchio di un asino. Nonostante tutto, sono io a fotografare; perché ho preso la decisione di utilizzare quello stativo “animale”. Oggi i giovani passano la maggioranza del loro tempo davanti al monitor, aspettando chissà cosa. Conoscono tutto di ieri, oggi e domani; ma non fanno nulla. Io cerco il tempo per sognare, anche perché non voglio essere influenzato. In generale, la fotografia rappresenta una disciplina, un po’ come quella dell’atleta; sicuramente un modo di vivere. Siamo preparati a una disciplina simile? Come operatori o anche semplici fruitori? Non me la sento di rispondere per gli altri, non sarebbe giusto; però la tua è una domanda corretta. Recentemente mi è stato proposto un lavoro sul nuovo razzismo: quello culturale, più cattivo. Mi sono detto: “E’ il mio lavoro”. Ho iniziato a pensare, a fare analisi. Del resto, un fotografo funge anche da sociologo, perché lascia un documento alla storia. La domanda quindi è: “Siamo, come fotografi, preparati a erogare un servizio simile?”. E poi: “Possediamo la giusta qualifica e la cultura necessaria?”. “Siamo forse dei dilettanti?”. Per guidare il motorino occorre la patente. I grandi fotografi d’America hanno frequentato scuole d’arte. La fotografia, specialmente oggi, non presenta particolari difficoltà. La preparazione però è necessaria, questo per affrontare i temi con la giusta responsabilità. Responsabilità, preparazione: c’è comunque orgoglio dietro le tue parole, o comunque consapevolezza... Il fotografo è “un immaginatore”; crea delle situazioni di fronte alle quali chi guarda si specchia con la propria coscienza. In una recente intervista ti ho sentito parlare di crisi... Sì, sollecitato da una domanda ho risposto che la crisi ce l’ha chi ne vuol parlare. Non m’intendo di economia, anche perché non entro quasi mai in banca. Di certo, lo stato attuale delle cose può aiutarci a cambiare mentalità. Oggi manca l’ispirazione, il tempo per sognare; i giovani s’impegnano in cose già fatte da altri. Prevale l’esperienza, che invece porta al cinismo, alla ripetitività; eliminando sorprese e fantasia. Molte tue campagne hanno fatto parlare di te: ti senti più amato o odiato? La ricerca del consenso porta alla mediocrità. Quando si è amati, non c’è spazio né per imparare, tantomeno per insegnare qualcosa. Ci sono dei progetti che intendi portare a termine a breve? Tanti, meglio non parlarne. Non c’è tempo, ecco tutto; almeno quello che vorrei. Faccio molte cose e mi esprimo lavorando, senza andare in vacanza. A mio parere, il lavoro è libertà e per conquistarla appieno devo incatenarmi a un progetto; così allontano i miei complessi: quello di non essere abbastanza intelligente; o l’altro, che mi vede pigro, banale, conformista, privo di talento. L’agire fa sì che io mi metta alla prova, col lavoro: non prendendo il sole su una spiaggia. Prima mi parlavi di Razza Umana... È un progetto che nasce nel 2007. Fa parte del Nuovo Paesaggio Italiano, un disegno che parte da La Sterpaia, un laboratorio di talenti creativi under 25 provenienti da tutto il mondo. L’obiettivo del progetto (nuovo paesaggio Italiano) è quello di contribuire alla salvaguardia e allo sviluppo della nostra qualità paesaggistica e del recupero degli scempi che dilagano in Italia. Un progetto sociale? Antropologico? Culturale? Razza Umana rappresenta un progetto che è impegno, al pari di altri. Fotografiamo la morfologia degli esseri umani, per vedere come siamo fatti, che faccia abbiamo, per capire le differenze. Prendiamo impronte somatiche e catturiamo i volti dell’umanità. Il mio tema è la condizione umana, non il paesaggio; e la indago senza i virtuosismi del fotografo, le masturbazioni del mestiere. Troppe riflessioni inquinano la mente. Razza umana tocca più di cento comuni italiani, lo stato di Israele, la Palestina, il Giappone, persino il Guatemala: è un progetto colossale... Sto scoprendo l’unicità della bellezza di ogni individuo: questo è interessante. Nessuno è veramente brutto, se non misurato attraverso i canoni imposti dai media, dalla televisione. Questo lavoro parte dal “rubare” l’anima attraverso la fotografia, il che è intrigante. Ritrai più volte un viso e alla fine uno scatto brilla di qualcosa. Non tutti i fotografi ci riescono. Impegno e condizione umana: alle volte anticipi la cultura vigente, più spesso ti dissoci... È il luogo comune a inorridirmi, l’abitudine: tipo l’AIDS che viveva dell’equazione sesso, diavolo, morte; o anche l’11 Settembre, divulgato come un’istallazione. C’è un’ignoranza nella cultura, quindi... C’è un’ignoranza delle persone colte. Meglio i bambini. Bambini, poi giovani sotto i venticinque anni; e la vecchiaia? Un castigo.Buona fotografia a tutti
I GRANDI AUTORI
Oliviero Toscani
Oliviero Toscani figlio del primo fotoreporter del Corriere Della Sera, è nato a Milano nel 1942 e ha studiato fotografia e grafica all’Università Delle Arti di Zurigo dal 1961 al 1965.
Conosciuto internazionalmente come la forza creativa dietro i più famosi giornali e marchi del mondo, creatore di immagini corporate e campagne pubblicitarie attraverso gli anni per Esprit, Chanel, Robe di Kappa, Fiorucci, Prenatal, Jesus, Inter, Snai, Toyota, Ministero del Lavoro, della Salute, Artemide, Woolworth e altri. Tra gli ultimi progetti: la collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Salute, con la Regione Calabria, con la Fondazione Umberto Veronesi, e alcune campagne d’interesse e impegno sociale dedicate alla sicurezza stradale, all’anoressia, alla violenza contro le donne, e contro il randagismo. Come fotografo di moda ha collaborato e collabora tuttora per giornali come Elle, Vogue, GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern, Liberation e molti altri nelle edizioni di tutto il mondo. Dal 1982 al 2000, ha creato l’immagine, l’identità, la strategia di comunicazione e la presenza online di United Colors of Benetton, trasformandolo in uno dei marchi più conosciuti al mondo. Nel 1990 ha ideato e diretto Colors, il primo giornale globale al mondo, e nel 1993 ha concepito e diretto Fabrica, centro di ricerca di creatività nella comunicazione moderna. Dal 1999 al 2000 è stato direttore creativo del mensile Talk Miramax a New York diretto da Tina Brown. Toscani è stato uno dei fondatori dell’Accademia di Architettura di Mendrisio, ha insegnato comunicazione visiva in svariate università e ha scritto diversi libri sulla comunicazione. Dopo quasi cinque decadi d’innovazione editoriale, pubblicità, film e televisione, ora si interessa di creatività della comunicazione applicata ai vari media, producendo, con il suo studio, progetti editoriali, libri, programmi televisivi, mostre ed esposizioni. Dal 2007 Oliviero Toscani inizia Razza Umana, progetto di fotografia e video sulle diverse morfologie e condizioni umane, per rappresentare tutte le espressioni, le caratteristiche fisiche, somatiche, sociali e culturali dell’umanità, toccando più di 100 comuni italiani, lo Stato di Israele, la Palestina, il Giappone e per le Nazioni Unite, il Guatemala. Da quasi trent’anni è impegnato al progetto: Nuovo Paesaggio Italiano, progetto contro il degrado dell’Italia. Il lavoro di Toscani è stato esposto alla Biennale di Venezia, a San Paolo del Brasile, alla Triennale di Milano e nei musei d’arte moderna e contemporanea di tutto il mondo. Ha vinto numerosi premi come quattro Leoni d’Oro, il Gran Premio dell’UNESCO, due volte il Gran Premio d’Affichage, e numerosi premi degli Art Directors Club di tutto il mondo. È stato vincitore del premio “creative hero” della Saatchi & Saatchi. L’Accademia di Belle Arti di Urbino gli conferisce il premio Il Sogno di Piero e riceve dall’Accademia delle Belle Arti di Firenze il titolo di Accademico d’Onore. Oliviero Toscani è socio onorario del Comitato Leonardo e della European Academy of Sciences and Arts.