“Un talento per la fotoglamour che viene da suggestioni giovanili filtrate da un gusto per l’eleganza e il ritratto garbato”
| Mosè Franchi | GRANDI AUTORI
Un talento per la fotoglamour che viene da suggestioni giovanili filtrate da un gusto per l’eleganza e il ritratto garbato
Il titolo rischia sempre di ingannare. La figura paterna ha avuto la sua im- portanza, senza però influenzare direttamente Alberto Buzzanca. Possiamo dire che sono stati i ricordi del padre ad aver ispirato il nostro fotografo, peraltro piuttosto tardi nel tempo. Non ci troviamo di fronte a Monaldo e Giacomo (Leopardi), tantomeno a Leopold e Wolfgang (Mozart). Di questi mancano i conflitti, forse le stesse contraddizioni. Padre e Figlio, Buzzanca in questo caso, sono due figure simili: che si sono passate il testimone per il bello e l’eleganza. Ringraziamo entrambi, perché forse un giorno scopri- remo che ciò che uno ha lasciato è stato subito preso dall’altro, se pure in una disciplina diversa. Delle immagini di Alberto c’è poco da dire: sono molto belle. Si ha quasi la sensazione che lui abbia lavorato assiduamente, in profondità: perché ovunque c’è coerenza, stile, riconoscibilità. Lo abbiamo scovato quasi nel nulla: come spesso accade quando cerchiamo qualcosa su Internet. All’improvviso si percepisce di essere di fronte all’immagine giusta, per- ché sensuale quasi al tatto. Al telefono la simpatia ci invita a continuare, a domandare: per capire il ruolo di una vita. Al bello ci si arriva con la fatica della rincorsa; con le immagini che pubblicheremo (e la storia raccontata) ne abbiamo avuto la conferma. Alberto, come hai iniziato a fotografare? Per caso: quasi non sapevo cosa fosse la fotografia. La mia prima giovinezza non ha avuto nulla di fuori dal comune: la scuola, il servizio militare (allora si faceva), i primi impieghi. Un giorno muore mio padre: inaspettatamente, all’improvviso. Lui era un artista, così mi sono tro- vato a dover sgomberare il suo studio. Frugando, tra le varie cose, ho trovato delle Zeiss Super Ikonta, formato 6x6, e mi è venuta la voglia di provarle. Dai cassetti sono saltati fuori anche dei rullini, scaduti ovviamente; così mi sono dedicato al paesaggio, sulle rive del Brenta. Le prime soddisfazioni? Assolutamente no, non veniva nulla. E poi cosa è successo? La prima fase è stata quella di acculturamento. Mio padre aveva tanti libri di fotografia e ho iniziato a leggere National Geographic. Paral- lelamente mi sono iscritto a un circolo fotografico padovano dove ho iniziato a far vedere i miei paesaggi. Successivamente sono venuti i primi concorsi, con le relative soddisfazioni. Da subito, però, è emersa la voglia di intervenire sulle immagini. Ricordo che bruciavo le dia dopo essermi accorto che lasciandole vicino a una lampadina rovente si potevano ottenere risultati interessanti. Il circolo fotografico ti ha aiutato? Sì. Ha rappresentato il mio primo pubblico. Ricordo che una volta mi presentai con degli scatti che credevo fantastici. Questo perché avevo trovato un’ottima sintonia con la modella, fatta di musica, fantasia, atmosfera. Al circolo bocciarono il mio lavoro. Mi dissero che non po- tevo pretendere di trasmettere le emotività provate durante lo shooting. Ricominciai... Era nata una forte passione? Diciamo che avevo avuto un’illuminazione. È come se mio padre mi avesse dato un mandato da compiere. Peraltro mi trovavo in una situazione lavorativa piuttosto deprimente (impiegato) e già meditavo di fare qualcosa di diverso. Nel padovano non c’erano grandi fotografi, così ho intrapreso la carriera. Sempre paesaggi? No, il secondo step mi vede impegnato nel matrimonio: un’esperienza utile, perché ho iniziato a trattare con le persone. Inoltre i concorsi hanno avuto una certa importanza, perché se li fai vuol dire che ti è venuta la voglia di far vedere i tuoi lavori, per capire se vengono accettati. Di mezzo c’è anche la soddisfazione e il desiderio di migliorarsi. Così era quando ho iniziato, ma anche oggi la situazione non è cambiata. Sono le associazioni a promuovere i concorsi, a volte le aziende. È straordinario, ma spesso ti accorgi che tra gli amatori vi sono dei fotografi di altissimo livello. Evidentemente la libertà e l’indipendenza dalla figura del cliente esaltano la creatività. Noi professionisti siamo troppo legati a ciò che altri vogliono da noi, a meno che non si tratti di un redazionale dove ci sentiamo più liberi. Il primo lavoro da professionista? Quando collaboravo con un’agenzia di comunicazione. Dovevamo fare alcune foto a degli stand per fiere. Si trattava di lavori banali che mi permisero però di completare la mia attrezzatura fotografica, avendo anche cura di me stesso. Trovavo, ad esempio, i soldi per frequentare i workshop. I workshop oggi sono di gran moda... Gli amatori li apprezzano tantissimo e hanno ragione. Una giornata con un professionista vale più di un anno di riviste. Tra l’altro, io sono molto aperto, disponibile. Molti giovani, ad esempio, si propongono gratuitamente al mio studio. Io non dico di no a nessuno: li metto in fila e accontento tutti. Alcuni in poche settimane capiscono ogni cosa, altri impiegano un tempo più lungo; ne avrò conosciuti un centinaio ed al- cuni sono riusciti a crearsi uno spazio nella professione. Anche questa è una soddisfazione. Nessun segreto? Certo che no... occorre essere trasparenti e avere un buon rapporto con tutti. La chiusura non paga. In realtà non c’è nulla da nascondere, perché per sfruttare le idee altrui devi comunque elaborarle. Poi dai giovani ho sempre imparato qualcosa, anche nell’uso di Photoshop. Paesaggio, poi il matrimonio: come è arrivata la moda? In un modo strano. Io volevo fare delle foto tipo Maxim. Mio padre leggeva Playboy tutti i mesi e io gli rubavo spesso le riviste. Quelle ragazze esercitavano su di me un fascino pazzesco: questa è la ragione per la quale ho iniziato a fotografare donne. Naturalmente perseguivo una mia idea di bellezza ed eleganza, che però è piaciuta a molti. La dimostrazione è che ho iniziato a vendere. Bellezza, eleganza: come riesci a tirarle fuori? In una ragazza cerco i gesti, i dettagli che possano “spiegare” l’eleganza, renderla palese, mostrarla in fotografia. La donna è comunque al centro delle tue attenzioni... È lei che mi ha fatto arrivare alla moda, perché lì si parla al femminile. Oltre ai desideri di gioventù, nelle mie intenzioni vi era proprio la vo- glia di farmi conoscere in questo ambito, dove mi sentivo a mio agio. C’è però un’altra esperienza che vorrei raccontare. Quando è morto mio padre, dal critico d’arte Giorgio Segata mi sono fatto mandare gli indirizzi di alcuni artisti. Me ne ha forniti sessantacinque. Quatanta di questi li ho ritratti a mie spese, girando l’Italia con una medio formato e due faretti. Viaggiavo la notte e la fatica è stata tanta. Volevo farne un libro con la loro immagine accompagnata da un disegno o una frase scritta di loro pugno. Quel materiale è ancora disponibile. Un progetto per il futuro? Diciamo che quell’iniziativa mi ha aperto a ulteriori opportunità: ho infatti iniziato a fare cataloghi, imparando così a ritrarre quadri e sculture. Un libro d’arte l’ho comunque pubblicato, anche se in tempi più recenti, circa due anni fa. Lo spunto è arrivato dal Sig. Buffetti, che, dopo aver ceduto la propria attività, assieme alla sorella è divenuto un mecenate dell’arte. Ha commissionato a un pittore centocinquanta quadri. Io do- vevo ritrarre la vita lavorativa e familiare dell’artista. Ti piace realizzare anche ritratti? Sì è un genere che mi piace molto. Ho ammirato Peter Lindberg per questo. Il ritratto ha un suo fascino, come il reportage; quando però sei un professionista devi percorrere quelle vie che ti consentono di andare avanti. Mi parlavi di Lindberg, hai avuto altri modelli ispiratori? Arnold Newman. Ho amato tanto i suoi ritratti in location. L’ho conosciuto in una delle mie tante peregrinazioni da Feltrinelli, dove ho comperato un suo libro. Arnold ha fotografato tanti artisti, lavorando sul valore umano. Trovo i suoi ritratti ricchi di emozione, che poi è ciò che cerco nei miei, sin dall’approccio. Esposizione e messa a fuoco passano in secondo piano. Ti occupi personalmente della post produzione? Sì, ma sempre nella direzione di ciò che voglio: eleganza e stile. Non esagero con ritocchi ed elaborazioni. Su Photoshop, dopo tonalità e colore, uso l’effetto fluidifica. Quali sono le qualità necessarie per un fotografo che opera nel tuo ambito? In fotografia non ci sono condizioni necessarie e sufficienti. Da bam- bino, come ho detto, rubavo Playboy a mio padre, eppure guarda la rincorsa che ho dovuto prendere per arrivare al mio genere. La per- severanza e la ricerca sono necessarie. Ci vuole simpatia per trattare con la gente. Bisogna approfondire la tecnica, l’approccio, il modo di porsi. Occorre pensare non solo al denaro e scattare anche per se stessi: del resto siamo uomini liberi. Dimentico qualcosa? Non so. Probabilmente perché sono ancora alla ricerca delle doti necessarie. Se potessi farti un augurio da solo, cosa ti diresti? Vorrei fotografare quello che mi piace, non per soldi ma per altro. Forse le mie immagini piacciono proprio per questo: scatto quello che voglio, in libertà. Mio padre era controcorrente e un po’ lo sono anch’io: desidero continuare a esserlo, anche per potere dire “no”, come spesso faccio quando un lavoro non mi piace o credo di non essere capace di affrontarlo. Tutto qui...Buona fotografia a tutti
I GRANDI AUTORI
Alberto Buzzanca
Alberto Buzzanca eredita dal padre, pittore visionario e vignettista pungente, l’armamentario per fotografare; ma forse molto di più. All’età di 23 anni nasce così il suo impegno artistico e la fotografia diventa la sua principale professione.
Apre uno studio e avvia la collaborazione con agenzie di comunicazione pubblicando su riviste nazionali. Tra i vari volumi, Le voci di una conchiglia 2007, in cui segue il percorso artistico del pittore Matteo Massagrande. È vincitore nel 2009 del concorso "Photo France". Le persone sono i soggetti preferiti da Buzzanca: modelle in studio o immerse in suggestive location, ma anche uomini, donne e bambini ritratti nei reportages in giro per il mondo. Opera in digitale.