"Se mi trovo a una festa, voglio essere alla festa”. “Troppi fotografi utilizzano la fotocamera per evitare di partecipare alle cose”. “Diventano così osservatori professionali”.
Inserire Robert Mapplethorpe in questa rubrica rappresenta una sfida doppia rispetto a quella della volta scorsa. Sicuramente abbiamo tanto da imparare dallo studio delle sue immagini, del resto lui stesso diceva: “Più immagini vedi, più migliori come fotografo”. Occorrerà comunque uscire dai contesti usuali, dalle abitudini. Il comune modo di vedere non ci basterà. Saremo obbligati a rompere le regole e i confini di una cultura delle immagini tesa sempre più a codificarsi, ancora oggi.
Dovremo andare oltre, però; perché Mapplethorpe non ha solo forzato i bordi della fotografia che conta. Le sue opere sono pervase dal rigore della perfezione, il che contrasta con i soggetti rappresentati: corpi nudi in immagini forti, rese inattaccabili dal desiderio dell’autore di non essere contestabile, artisticamente. Mapplethorpe soleva dire: “Spesso l’arte contemporanea mi mette in crisi perché la trovo imperfetta”. “Per essere perfetta non è che debba essere giusta dal punto di vista anatomico”. “Un ritratto di Picasso è perfetto, non c’è niente di contestabile”. “Nelle mie fotografie migliori non c’è niente di contestabile – così è”. “È quello che cerco di ottenere”.
Resta comunque la sfida, il diaframma violato. Lui si presenta al mondo come lo “scultore” dell’immagine, dell’istante fermato. Il suo scalpello incide le idee, i luoghi comuni, la pigrizia delle censure. Scatta quando (e dove) gli altri avrebbero messo il tappo davanti l’obiettivo.
La gioventù, il contesto storico
Robert Mapplethorpe nasce il 4 novembre 1946 a Long Island (New York). È il terzo di sei figli. La sua è una famiglia cattolica di origini irlandesi, appartenente alla media borghesia americana. Si racconta che a sedici anni sia stato sorpreso mentre tentava di rubare un giornalino pornografico. In realtà, a quell’età, comincia a manifestarsi la sua omosessualità, non ancora pienamente palese. Sempre a sedici anni s’iscrive al Pratt Institute di Brooklyn. Studia disegno, pittura e scultura. Influenzato dalla produzione di artisti del calibro di Marcel Duchamp, comincia a sperimentare usando vari materiali. Produce una serie di collage composti con immagini tratte da giornali, riviste e libri.
Si stanno chiudendo gli anni ‘60 e per gli Stati Uniti sono momenti di grande cambiamento. La guerra del Vietnam, i movimenti studenteschi, la lotta per i diritti civili, delle donne, degli afroamericani, la rivolta dei gay, sono tutti accadimenti che stanno modificando l’America e il mondo intero. A New York si vive un’atmosfera irripetibile. Robert Mapplethorpe prende vigore dalla cultura pop, rappresentata allora da Andy Warhol. Il fermento creativo è palpabile in quegli anni. Robert è un testimone del suo tempo, il che rappresenta un merito.
Patti Smith, poi la fotografia
Nel 1967 l’artista incontrò Patti Smith, allora solo una giovane ragazza spiantata, che non pensava neanche di diventare cantante. Era da poco arrivata a New York. Robert se ne innamorò. I due andarono a convivere dapprima a Brooklyn e poi presso il famosissimo Chelsea Hotel di Manhattan, un luogo di ritrovo per artisti, scrittori e musicisti nei primi anni Settanta. Dopo qualche anno vissuto come amanti, Patti e Robert rimasero semplicemente amici. Lei, fra il 1970 e il 1973, fu ritratta più volte dal compagno. La foto più celebre rimane quella della copertina dell’album Horses. Mapplethorpe all’inizio non pensava di diventare un fotografo. Fu solo per cercare immagini adatte ai suoi collage che si rivolse alla fotografia, inizialmente utilizzando una Polaroid SX-70. Due anni dopo il fotografo passò a una medio formato e cominciò a ritrarre le persone che lo circondavano: artisti, musicisti, celebrità, ma anche attori del cinema porno.
Mapplethorpe organizzò le sue prime mostre importanti nel 1977, a New York: una di fiori e un’altra su nudi maschili e immagini sadomaso. Le sue stampe restituivano una gradazione infinita di bianchi e neri, di luci e ombre. Al di là del soggetto, le sue immagini risultavano eleganti e provocatorie al tempo stesso. Un confine era stato rotto, quello che offriva alla visione un coraggio nuovo, mai provato. Si allargavano gli orizzonti verso ciò che non si poteva (né voleva) vedere.
Chi ha avuto la fortuna di visitare quelle mostre si sarà perso dietro una miriade di aggettivi, disobbedendo o approvando quell’anima bacchettona che permeava la cultura americana del tempo. Ancora oggi, però, possiamo dire che dietro le fotografie di Mapplethorpe c’è qualcosa che non ci saremmo aspettati. Ci ha tolto le bende dagli occhi e vediamo oltre il sogno offerto dalla cecità.
La tecnica
Dal punto di vista della tecnica, il fotografo fondò il suo stile tra il classico e il moderno. I nudi, come i fiori, risultavano armonici, impeccabili, levigati, asettici per ambientazione, tanto da ricordare la scultura rinascimentale, in particolare quella di Michelangelo. Il paragone può sembrare esagerato, persino irriverente; a tal punto che siamo costretti a scorgere qualche differenza. L’artista fiorentino viveva il contrasto tra anima e corpo, cercando di trascendere da quest’ultimo in una concezione neo platonica della vita. Robert è attratto dalle contrazioni del muscolo, non le nasconde. Il corpo per lui diventa natura, verità, paesaggio sconfinato nel quale perdersi. Ne sono un esempio i suoi nudi, lussuriosi perché “così è”, scultorei in quanto pulsanti; come il corpo di Lisa Lyon, la prima campionessa di body building femminile.
Robert Mapplethorpe per noi
Anche questa volta occorre immergersi in un bagno di umiltà. La nostra fotocamera è nel cassetto, il computer spento, la camera oscura chiusa. Mapplethorpe ha assorbito il proprio tempo, inserendovi il percorso artistico che l’ha reso celebre. Si è assunto dei rischi, tanti; ma l’ha fatto con coerenza. L’estetica con la quale affronta i nudi più crudi è la stessa con la quale ritrae i fiori. Non cambia la levigatezza, la tonalità, quel respiro che diviene tra il bianco e il nero. C’è la controtendenza, questo è certo; la chiamata contro una visione dell’arte (e della vita?) sostanzialmente conservatrice. D’altro canto, per entrare nei musei qualche nemico occorre farselo.
L’ultimo momento
Robert morì in seguito alle complicazioni causate dall’AIDS, il 9 marzo 1989, a Boston. Patti Smith ricorda quel momento, nel libro Just Kids (2010), con queste parole: “Ci salutammo e lasciai la stanza”. “Qualcosa mi spinse a tornare indietro”. “Era scivolato in un sonno leggero”. “Restai a guardarlo, così sereno, come un bambino vecchissimo”. “Aprì gli occhi e mi sorrise”. “Sei già tornata?” “Poi si riaddormentò”. “L’ultima immagine di lui fu come la prima: un giovane che dormiva ammantato di luce, che riapriva gli occhi col sorriso di chi aveva riconosciuto colei che mai gli era stata sconosciuta”.
Buona fotografia a tutti
I GRANDI AUTORI
Robert Mapplethorpe
Robert Mapplethorpe nasce il 4 novembre 1946 a Long Island, New York, terzo di sei figli. La sua è una famiglia cattolica di origini irlandesi appartenente alla media borghesia americana. A sedici anni viene sorpreso mentre tenta di rubare un giornalino pornografico. Come lui stesso ammetterà, lo attirava per il senso di proibito dovuto all'incelofanatura esterna. In realtà sono proprio questi gli anni in cui comincia a manifestare la sua omosessualità, non ancora pienamente riconosciuta.
Si iscrive, come già aveva fatto il padre, ad un programma scolastico mirato all'addestramento dei giovani che rientreranno nelle fila dell'esercito americano come ufficiali. In seguito abbandona il programma. Sempre a sedici anni si iscrive al Pratt Institute di Brooklyn, dove studia disegno, pittura e scultura. Influenzato dalla produzione di artisti come Joseph Cornelle e Marcel Ducamp comincia a sperimentare usando vari materiali. Produce una serie di collages composti con immagini tratte da giornali, riviste e libri.
Questi però sono i movimentati anni della guerra in Vietnam e della grande contestazione studentesca, e Robert Mapplethorpe non solo sospende i suoi studi, ma inizia anche a fare uso di sostanze stupefacenti. Consuma marijuana e LSD sviluppando una dipendenza che lo accompagnerà per tutta la vita. In questi anni incontra anche la giovane Patti Smith, che sarà una presenza fondamentale nella sua vita. Patti è appena arrivata a New York motivata dalla ferma intenzione di diventare una poetessa. I due diventano amanti e si trasferiscono a vivere in una stanza del famoso Chelsea Hotel, dove rimarranno anche dopo la fine della loro relazione. Robert fotografa moltissimo Patti; a lui si deve la copertina dell'album "Horses". Riprende anche gli studi, ma più per vivere con i soldi di un fondo studentesco, che per vero interesse. Nel 1970 compra una Polaroid che sarà la sua prima compagna di avventure fotografiche. Alla fine degli anni Settanta, accompagnato dalla sua Polaroid, dà vita ad un vero e proprio reportage tra le vie della città, intitolato "New York S & M". Le foto del reportage risultano per certi versi scioccanti anche se, come lui stesso afferma, la sua intenzione è semplicemente quella di andare alla ricerca dell'insolito.
I protagonisti delle sue foto sono spesso attori pornografici, vere coppie omosessuali o semplici modelli ritratti in pose erotiche. Queste foto vengono pubblicate nei famosi "PortfolioX", che contengono anche un suo scandaloso autoritratto. Nel 1970 inizia anche la sua prima seria relazione omosessuale con il modello David Crowland, che gli presenta in seguito il curatore della sezione fotografica del MoMA (Museum of Modern Art). Grazie a questa nuova conoscenza, inizia la fortunata carriera fotografica di Robert Mapplethorpe. Nel 1972 conosce Sam Wagstaff che lo introduce nei migliori ambienti di New York, consentendogli la stabilità economica. I due diventano amanti e Robert si trasferisce in un loft a Bond Street comprato da Sam. Rimangono insieme per molti anni fino alla morte di Sam, avvenuta a causa dell'Aids.
Nel 1980 incontra Lisa Lyon, la prima campionessa di body building femminile. Lisa diventa la protagonista di una serie di fotografie raccolte nel volume "Lady, Lisa Lyon". Durante tutti gli anni Ottanta le sue fotografie subiscono un cambiamento: diventano meno immediate e più rispettose dei canoni artistici classici. Scatta foto con uomini e donne nudi ritratti in pose statiche e stilizzate e con delicate composizioni floreali. Realizza anche molti ritratti in studio di celebri personaggi. Raffina alcune tecniche fotografiche, come la famosa stampa al platino su carta e su lino, e il cibachrome, oggi detto lifocrome, che è una stampa fotografica con colori ad altissima stabilità cromatica.
Nel 1986 Mapplethorpe produce una serie di foto per il volume di poesie di Arthur Rimbaud "Una stagione all'inferno". Nonostante nel 1986 gli venga diagnosticata l'Aids continua a lavorare alacremente. Nel 1988 il Whitney Museum of American Art organizza la sua prima grande retrospettiva. Nello stesso anno crea la fondazione che porta il suo nome e a cui viene affidata la missione di supportare i musei che si occupano di fotografia e di trovare fondi per combattere l'Aids. Robert Mapplethorpe muore il 9 marzo del 1989 all'età di soli 42 anni.