”Il Reale e surreale si mescolano nelle immagini del fotografo e si vestono di un silenzio assordante, riflessivo e di una poetica malinconica, ma confortante. Invece di ricorrere ad un soggetto preferenziale Giacomelli coltivò la sua curiosità passando da un tema all’altro."
Mario Giacomelli: L'artista della luce e dell'ombra
Mario Giacomelli (1925-2000) è stato uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento, capace di trasformare la realtà in poesia visiva attraverso il bianco e nero delle sue immagini. Nato a Senigallia, nelle Marche, la sua carriera fotografica iniziò negli anni ’50, quando acquistò la sua prima macchina fotografica e si avvicinò al mondo della fotografia con un approccio sperimentale e profondamente espressivo.
La fotografia di Giacomelli è immediatamente riconoscibile: forti contrasti tra luce e ombra, composizioni audaci e un linguaggio visivo che evoca emozioni e racconti.
Le sue immagini in bianco e nero sono caratterizzate da un’intensità drammatica, quasi pittorica, dove le ombre diventano segni espressivi e le forme si dissolvono in una danza tra realtà e astrazione. Il suo approccio alla fotografia era intimo e personale, lontano dalle convenzioni documentaristiche: le sue opere non raccontano semplicemente la realtà, ma la reinterpretano, la rendono universale e senza tempo. Le sue immagini non sono mai semplici rappresentazioni della realtà, ma interpretazioni personali, in cui il fotografo trasforma il paesaggio, il corpo e la vita quotidiana in segni grafici di grande intensità. L'ispirazione per il titolo viene da un verso del poeta David Maria Turoldo, un dettaglio che sottolinea il legame profondo tra la fotografia di Giacomelli e la poesia. Le immagini non sono semplici documenti della vita quotidiana nel seminario, ma piuttosto visioni cariche di significati simbolici. I corpi neri si stagliano contro il bianco abbacinante della neve, creando un contrasto quasi astratto, mentre il movimento dei ragazzi evoca un senso di gioia effimera, di innocenza destinata a sfuggire. Dietro questa apparente spensieratezza si cela però una riflessione più profonda. I "pretini", come li chiamava affettuosamente Giacomelli, sono ragazzi in bilico tra fanciullezza e futuro, tra la libertà del gioco e la rigidità della vocazione religiosa imposta loro. C’è in queste immagini un senso di sospensione, di attesa, come se quei corpi danzanti fossero destinati a scomparire nell'ombra del tempo. Lo stile di Giacomelli è inconfondibile: il bianco e nero estremo, la grana pronunciata, le ombre dense e le luci taglienti conferiscono alle fotografie una dimensione fuori dal tempo. Non si tratta di un racconto lineare, ma di un viaggio emozionale, una serie di frammenti che parlano di un’umanità fragile e profonda. La serie Io non ho mani che mi accarezzino il volto è ancora oggi un capolavoro della fotografia mondiale, capace di emozionare e interrogare, di evocare poesia attraverso immagini scolpite nella luce e nell’ombra. Uno dei suoi lavori più celebri è la serie Scanno, realizzata negli anni ’50, in cui immortalò il piccolo borgo abruzzese con un occhio quasi pittorico, giocando con le geometrie delle strade e delle figure umane. Un’altra serie iconica è Io non ho mani che mi accarezzino il volto (1961-1963), incentrata sui giovani seminaristi ripresi in momenti di gioco e riflessione, immagini che sembrano sospese tra realtà e sogno. Giacomelli amava sperimentare con la fotografia, utilizzando tecniche di sovrasviluppo e manipolazione chimica per ottenere neri profondi e bianchi accecanti, creando così un universo visivo altamente stilizzato. Le sue opere esplorano tematiche esistenziali, il passare del tempo, la memoria e la condizione umana, influenzate anche dalla sua esperienza personale e dalla sua sensibilità verso la poesia e la letteratura. Le sue fotografie sono oggi conservate in prestigiosi musei e collezioni internazionali, tra cui il MoMA di New York e la Tate di Londra, a testimonianza di un linguaggio artistico che ha saputo superare i confini geografici e temporali. Mario Giacomelli non fu solo un fotografo, ma un vero e proprio artista che ha saputo dare alla fotografia una dimensione intima e universale. Con il suo stile unico, ha lasciato un segno indelebile nel panorama della fotografia contemporanea, dimostrando che la macchina fotografica può essere uno strumento per esplorare la vita e l’anima umana con straordinaria profondità.Buona fotografia a tutti
I GRANDI AUTORI
Mario Giacomelli
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Renzo Chiesa, note biografiche in prima persona
Cremonese di nascita, 1951, milanese d’adozione dal 1961. Milano la città dello studio, dello sviluppo e crescita professionale. La passione dell’immagine era già nata, alla fine anni cinquanta, dopo l’acquisto in famiglia del primo televisore.
Dopo studi regolari, il primo approccio al mondo fotografico c’è stato con l’inserimento nel laboratorio fotografico all’interno della Arnoldo Mondadori nella storica sede di via Bianca Maria di Savoia. Poter vedere da vicino il lavoro dei vari fotografi, inviati in tutto il mondo, da zone di guerra, a spettacoli musicali e teatrali, foto di moda e bellezza, ha fatto esplodere la voglia di fare questa professione. Fù anche la fortuna di lavorare alla Mondadori che mi fece conoscere il dott. Polillo, dirigente e organizzatore del Festival Internazionale del Jazz al Teatro Lirico. Questo mi permise di fotografare tanti grandissimi del jazz, da Duke Elligton, a Ella Fitgerald, da Nina Simone a Miles Davis.
Passaggio successivo fu fare l’assistente in studi fotografici professionalmente diversi, e più tardi, l’apertura del proprio studio. La collaborazione con case discografiche è iniziata presto. Avevo un desiderio, realizzare tre copertine di artisti che amavo, Lucio Dalla, Paolo Conte e Enzo Jannacci. Fatto questo volevo dedicarmi ad altri settori, invece la popolarità dei tre artisti mi portò ancora di più lavoro nel campo discografico. Il ritratto è sempre stato il mio obiettivo. A questo proposito si era sparsa la voce che portavo fortuna ai candidati alle elezioni, di cui avevo fatto il ritratto. Furono tutti eletti.
Le collaborazioni iniziarono anche con grandi editori, Mondadori, Rizzoli, Abitare Segesta. Varie le testate con cui ho collaborato, da Panorama, a Costruire, Max, Amica, Casa&Country, AD, Musica Jazz, Suono, Prog, Classic Rock. Questo mi ha permesso di fotografare grandi artisti, architetti, scrittori, attori e chef in giro per l’Italia e il mondo. Da cinque anni sono anche il fotografo ufficiale della Rassegna Tenco, della canzone d’autore, che si svolge al Teatro Ariston di Sanremo.
Ho anche organizzato varie mostre che ho esposto a Milano ai Frigoriferi Milanesi, alle gallerie d’arte Eroici Furori e Head Quarter, a Pavia al Broletto, a Parigi in una mostra omaggio a Jimi Hendrix e la collettiva Obiettivo Rock. “Noi, non erano solo canzonette”, ultimo impegno, una mostra itinerante, dove il mio contributo va da un reportage giovanile a Londra nel 1969, alla contestazione anni settanta/ottanta milanese a una serie di grandi della musica italiana, da Mina a Gaber, da Demetrio Stratos a Fabrizio de André, da Francesco Guccini a Lucio Dalla.