"Quando ho iniziato a fotografare sculture non c’era nessuno che lo facesse, per giunta a luce naturale come il mio pulpito."
UN ARTIGIANO CONTEMPORANEO
Aurelio Amendola preferisce definirsi ancora artigiano. A suo dire, oggi tutti si fanno chiamare artisti, forse perché è diventato troppo “facile” produrre immagini. Meglio rimanere fotografi, come quelli di un tempo. “Artigiano” diventa quindi un aggettivo contemporaneo, che definisce un autore ricco di entusiasmo, e la cui professione vive di responsabilità. Tramite le sue fotografie, Aurelio instaura un rapporto con le opere che ritrae, quasi le interroga; in un dialogo che diventa respiro, pulsione, vita. Il merito sta nel suo sguardo sempre nuovo, lo stesso che restituisce azione ai soggetti, ma anche armonia, equilibrio.
Aurelio Amendola ha instaurato un rapporto profondo con le sculture di Michelangelo, forse perché i marmi dell’artista toscano nascondono essi stessi la vita. Le fotografie del nostro, paradossalmente, quasi restituiscono dinamicità alle anatomie, ai contorni, alle levigatezze. E’ come se tra i due artisti fosse venuta a instaurarsi un’amicizia lontana: oltre la distanza dei secoli e del tempo. C’è quasi da credere che il Buonarroti abbia suggerito luci e pose al nostro Aurelio, che quindi si è trovato a compiere un “dettato”, poi divenuto parafrasi. Sono i misteri dell’arte, quella che si raggiunge con la consapevolezza e non per diritto acquisito. Ci rendiamo così conto che il termine “Artigiano” sta proprio bene, almeno per definire il lavoro del nostro. Lui ha preso in mano un mestiere e l’ha colmato di valori, usando la passione che maturava piano piano. Non ha inseguito modelli, questo è certo; ma quando ha capito la sua missione, il fare ha prevalso sull’essere dello status. Un bagno d’umiltà? Non proprio; piuttosto si tratta di una presa di coscienza: sincera, acuta, scoperta e solo dopo voluta. Alla fine è arrivata anche la fama, e una carriera d’artista. Tanto il nostro non se ne fregia: “Meglio che lo dicano gli altri”, ribadisce. Perché c’è già un altro artista da ritrarre, magari mentre lavora: con lui e per lui; come forse a suo tempo ha fatto Michelangelo. Senza saperlo.
D] Aurelio, quando hai iniziato a fotografare?
R] Negli anni ’60. A ventidue anni già possedevo un mio studio. Prima andavo a lavorare presso un collega, dove mi occupavo del lavaggio delle fotografie. Erano i tempi delle cerimonie (matrimoni, cresime, comunioni). Un giorno, nel 1964, andai in gita a Roma, assieme a un gruppo di studenti della Scuola d’Arte di Pistoia. Visitammo una mostra di Marino Marini. Scattai alcune fotografie alle sue opere. Al ritorno, lo storico d’arte Gian Lorenzo Mellini mi chiese: “Perché non fotografi l’opera di Giovanni Pisano, in via S. Andrea 37, a Pistoia?”. “Cos’è?”, chiesi “Il pulpito”, rispose: “Prova!”. Durante un fine settimana iniziai il lavoro, che tra l’altro mi coinvolse molto. Produssi dieci scatti in B/N. Evidentemente avevo qualcosa dentro. L’Electa, che visionò le immagini, scrisse: “Dite a quel ragazzo di terminare quanto iniziato”. Provai a confrontarmi con tante persone e tutte m’invitavano ad andare avanti. “Non sono abituato”, dicevo. Nonostante ciò, mi misi al lavoro, utilizzando la luce naturale. Il sacerdote della chiesa ne fu felice. Era colui che mi aveva sposato. Ne nacque un libro importante, il primo: quello della svolta. Passare dalle fototessere a un libro edito da Electa su Giovanni Pisano fu davvero una grande soddisfazione.
D] Spesso le opportunità sono più vicine di quanto immaginiamo …
R] Al tempo, i miei dubbi erano tanti. “Ho una famiglia”, ripetevo. L’Electa mi chiamò per produrre un libro su Marino Marini, che tra l’altro fece il mio nome. La vita cambiò repentinamente attorno a me, così nel ’74 abbandonai lo studio. Iniziò il mio viaggio nell’arte. I giornali (Oggi, Vogue) scrivevano: “Aurelio Amendola, il fotografo degli artisti”.
D] La tua è una bella storia, tutta da raccontare. La passione per la fotografia è stata importante?
R] All’inizio no. E’ maturata col tempo. Noi giovani dovevamo lavorare e ci sentivamo artigiani. Sarei potuto diventare calzolaio, barbiere; e non avrebbe fatto alcuna differenza. Col tempo le cose sono cambiate. Incontravo Burri, De Chirico. Col primo ero molto amico e lui contribuì alla mia visibilità ad alti livelli (’76). Ricordo che da una conoscenza ne nasceva un’altra, così in me montava la motivazione, poi diventata passione: per la fotografia e l’arte, particolarmente nei confronti della scultura, verso la quale ero l’unico a prestare attenzione. Per questa ragione ero interpellato da Giacomo Manzù e Emilio Greco. Nel ’92 uscì il mio primo libro su Michelangelo.
D] Tu sei il fotografo di Michelangelo …
R] L’ho fatto mio. Con la mostra su di lui ho girato il mondo. Credo sia stata importante l’interpretazione che sono riuscito a far vivere. A proposito, Skira ha prodotto un documentario su di me. Io ho pubblicato un libro sulle tre pietà di Michelangelo e un altro sul Davide.
D] Delle tre, quale pietà preferisci?
R] La Rondanini è straordinaria; quella di Roma, graziosa.
D] Una carriera così necessita di tanta forza …
R] Bisogna avere la volontà di cambiare, tra antico e moderno.
D] Torniamo alla passione: alla fine è stata importante.
D] Diamine. Ricordo che è stato difficile abbandonare il negozio, quasi un sacrificio. I benefici sono arrivati dopo. Non guardavo in faccia a nessuno.
D] Come hai curato la tua formazione?
R] Da autodidatta. Non devo ringraziare nessuno. Sono l’ultimo che si stampa le fotografie da solo.
D] Anche oggi?
R] Certo.
D] L’analogico?
R] Sì. Tratto il B/N con carta baritata, in camera oscura, fino al 50X70.
D] Non usi il digitale?
R] L’adopero per problemi tecnici, perché ormai non si trovano più le lastre a colori.
D] Fotograficamente come ti definiresti?
R] Sono gli altri che mi attribuiscono degli appellativi.
D] A tuo parere, qual è la qualità più importante per un fotografo come te?
R] Ti posso dire una cosa: chiunque sia l’artista che ho di fronte, ci metto la stessa passione. Fotograficamente non so definirmi. Oggi sono tutti artisti e mi chiamano maestro; in più mi danno una laurea Honoris Causa a Catanzaro.
D] Non ti sei espresso sulla qualità necessaria …
R] Precisione e rigore nel lavoro. Ho imparato questa lezione dai grandi artisti, come Burri e Marino Marini. Mi dicevano: “Se metti impegno nel lavoro, qualcosa ti tornerà indietro”.
D] Impegno, quindi: professionalità; ma la fotografia come dev’essere?
R] Deve offrire qualcosa in più della semplice visione: deve emozionare.
D] Hai avuto dei modelli ispiratori?
R] Quando ho iniziato a fotografare sculture non c’era nessuno che lo facesse, per giunta a luce naturale come il mio pulpito.
D] C’è un fotografo che stimi al di fuori della tua professione?
R] Tanti. Avedon è uno di questi, anche Gardin. Ci sono tanti fotografi, però, che portano avanti sempre le stesse cose: quello che io non voglio fare. Per questo mi sono inventato happening: gli artisti ritratti mentre lavorano. Così sono arrivati Antonio Recalcati che si butta per terra e Burri che brucia un foglio di plastica. Ho ritratto Claudio Parmiggiani a Bologna in una situazione particolare. Aveva costruito un labirinto di vetro. “Aurelio, devi rimanere con me”, mi disse. Me lo trovo vestito da palombaro che dal centro della costruzione inizia a rompere tutto.
D] Hai pochi elementi d’ispirazione, quindi …
R] Sono gli altri che si devono ispirare a me. Voglio trovare altri artisti che lavorano. Arrivato a venti, produco un grande libro.
D] C’è, tra le tue, una fotografia che ami particolarmente? Alla quale sei affezionato?
R] Ce ne sono alcune: Burri che brucia la plastica, Marino Marini sulla spiaggia di Forte dei Marmi con il cavallo bianco (1972), De Chirico in gondola (sembrava un doge). Sono immagini che mi hanno dato molto. A Burri piacque la sua fotografia e da allora diventammo amici.
D] Dopo tanti anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro e che vorresti portare a termine?
R] Io propongo progetti. E’ una posizione che ho conquistato da qualche anno.
D] Sei il fotografo dell’arte, ma hai iniziato senza saperne nulla: dico male?
R] Sì, ma col tempo mi sono fatto una cultura. Di Michelangelo so tutto.
D] La lettura è importante?
R] Sì, ma non sempre leggo. Desidero produrre un libro sui luoghi di Leonardo da Vinci. Ho letto qualcosa, ma preferisco documentari dopo. Il lavoro è già iniziato, ma FMR mi ha detto: “Stai attento che non diventi un tuo portfolio”. Non è facile: forse quello su Leonardo sarà il libro più difficile.
D] Su quanti libri stai lavorando?
R] Almeno su tre; e non sono più un ragazzino. Ho un figlio di cinquant’anni, ma tutti ci prendono per fratelli.
D] Potessi scegliere, che foto scatteresti domani?
R] Vorrei ritrarre un artista mentre lavora. Il volto non m’interessa. Andy Warhol ha rappresentato un’eccezione in tal senso. Con la sua Polaroid, lui era più fotografo di me. L’ho fotografato nella sua Factory. Correva l’anno 1986.
D] La Toscana ti ha offerto qualcosa fotograficamente?
R] Io ci sto bene. Mi ha dato tanto, anche se io lavoro poco qui. Amo la mia Pistoia e torno sempre volentieri. Del resto, il pulpito è qui.
D] Michelangelo …
R] Era un uomo libero. Mandava a quel paese il Papa Giulio II.
D] La tua è una vita d’artista tra gli artisti …
R] Preferisco che lo dica tu …
D] Puoi farti un augurio da solo, cosa ti dici?
R] Vorrei portare a termine tutti i libri che ho in programma; ma anche altri. E poi campare come Michelangelo.
Buona fotografia a tutti
I GRANDI AUTORI
Aurelio Amendola
Note biografiche
Aurelio Amendola, Nato a Pistoia (19 gennaio 1938), nel corso della sua eccezionale carriera di fotografo d’arte, Aurelio Amendola si dedica intensamente ai temi del contemporaneo, arrivando a raccogliere una vera e propria Galleria di Ritratti dei più celebri maestri del Novecento, sorta di Galleria degli Uomini Illustri di alta epoca, rivisitata con i vessilli dell’attualità: De Chirico, Pomodoro, Schifano, Lichtenstein, Warhol. Grazie alla lunga frequentazione personale con molti di loro (Manzù, Fabbri, Ceroli, Vangi, Kounellis, Pistoletto, Parmiggiani, Paladino, Barni, Ruffi, Mainolfi) realizza innumerevoli monografie corredate dai suoi scatti. Prezioso il sodalizio con Marino Marini e Alberto Burri, indimenticabili compagni di strada e di vita. In parallelo, Amendola si distingue per celebri fotografie sulle sculture del Rinascimento italiano o, più in generale, per quelle dedicate alla tradizione classica, comprendendone intimamente volumetrie, tridimensionalità, contrasti, e offrendo ogni volta un punto di vista dichiaratamente scostato dall’approccio documentaristico: ispirato da una visione tattile, emotiva, sensoriale.
I suoi esordi sono contrassegnati dall’ormai celebre volume Il pulpito di Giovanni Pisano a Pistoia (1969); alla campagna fotografica primaria (1964) ne seguono molte altre, solcando il soggetto tra rigorosa fedeltà e mutevole interpretazione, specie per l’uso cangiante della luce. L’interesse per l’antico si radica poi in numerosi altri lavori fotografici: Donatello, Jacopo della Quercia, Luca della Robbia, Canova, Bernini, Michelangelo. Ai marmi di quest’ultimo –sorta di alter ego di costanti ispirazioni- consacra numerosi cataloghi, mostre, monografie. Nel 1994 con il volume Un occhio su Michelangelo (dedicato alle Cappelle Medicee in San Lorenzo, Firenze) Amendola vince il Premio Oscar Goldoni per il miglior libro fotografico dell’anno. A compendio, illustra i grandi temi dell’arte italiana, realizzando veri capolavori, come dimostrano i volumi sulla basilica di San Pietro, visitata secondo l’ottica personale: tra eleganti prospettive, particolari inaspettati, scorci inediti. Nel corso degli anni, Amendola ha costantemente sperimentato azzardi, mescolanze, giustapposizioni, intrecci, accostamenti. Calando l’antico nel contemporaneo o assegnando al contemporaneo un trattamento di matrice classica. Giungendo ogni volta a comporre sequenze fotografiche senza tempo e senza età. Come immortali. Accanto alla ritrattistica e alla statuaria antica, Amendola si è largamente cimentato anche nella poetica dei luoghi, divinandone il genius abitativo e architettonico: il Duomo di Milano, Matera, San Galgano, il parco delle sculture della Collezione Gori – Fattoria Celle di Santomato, Il Vittoriale degli Italiani, il grande Cretto di Burri di Gibellina. Le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni private e pubbliche; tra queste, Fondazione Maramotti di Reggio Emilia, GAM di Torino, Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, del MAXXI di Roma, Fondazione Alberto Burri di Città di Castello, Uffizi, Palazzo Fabroni di Pistoia, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Incalcolabili le esposizioni nazionali e internazionali, innumerevoli i riconoscimenti: tra tutti, premio Cino da Pistoia (1997); Il Micco (2012); diploma Accademico Honoris Causa in Arti Visive e titolo di Accademico d’Italia (2014, Accademia di Belle Arti di Catanzaro); docufilm Obiettivo sull’arte (2015, regia di Beatrice Corti); premio Una vita per l’arte (Gaeta, 2016). Nel novembre 2009, insieme ad altri artisti, è stato ricevuto da Papa Benedetto XVI nella cappella Sistina. Nel Febbraio del 2021 Pistoia , la sua citta’, gli dedica una mostra Un’Antologia, Pistoia Musei ne è la sede, curatrice Paola Goretti e Marco Meneguzzo. Nel Novembre 2021 è stata inaugurata la mostra “An Eye on Michelangelo and Bernini” presso The Society of the Four Arts a Palm Beach. Ad Aprile 2022 Un ‘Antologia sarè inaugurata a Bari al Castello Svevo.