”CIÒ CHE M’INTERESSA È L'ISTANTE PRESENTE, BISOGNA TROVARE OGNI GIORNO IL MODO PER ESSERE FELICI"
L’occasione è ghiotta, irripetibile: guardare e leggere l’opera di Lartigue in una grande mostra antologica. Non potevamo mancare, anche perché in esposizione avremmo trovato il racconto di un novecento, quello della Parigi ricca e borghese del nouveau siècle. Già a livello documentario le immagini di Lartigue assumono una valenza storica e sociale. Resta però da considerare il valore dell’attimo, cercato di continuo per rinsaldarne la memoria e mantenerlo in vita. Lì il fotografo francese ha portato avanti una ricerca spasmodica ed estrema. Ne emerge la bellezza, tanta; ma anche il movimento, l’istante rinsaldato, il tutto in un racconto infinito, che poi è quello di una vita. La mostra titola “L’invenzione della felicità” e le parole risultano appropriate. Emerge però anche il retrogusto dolciastro di tanti istanti fuggiti dietro un’auto in corsa o nel ricordo di una donna troppo bella oggi.
La mostra
L’invenzione della felicità.
Fotografie. L’esposizione è la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia, dedicata al fotografo francese Jacques Henri Lartigue (1894-1986). La rassegna presenta 120 immagini, di cui 55 inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue, dei quali saranno esposte alcune pagine in fac-simile. Il percorso de "L’invenzione della felicità" si articola intorno a questi grandi momenti di riscoperta dell’opera di Lartigue, a cominciare dalla rassegna del museo newyorkese, durante la quale sono presentati i suoi primi scatti precedenti la Prima Guerra Mondiale, e che fanno di lui l’enfant prodige della fotografia. Ispirato dai giornali e dalle riviste illustrate di quest’epoca, Lartigue s’interessa alla ricca borghesia parigina che si ritrovava ai Grandi premi automobilistici, alle corse ippiche di Auteuil, oltre che agli uomini e alle donne eleganti che le frequentavano. A seguito del successo ottenuto con la mostra al MoMa, verso la fine degli anni ‘60, Lartigue incontra Richard Avedon e Hiro, due tra i più influenti fotografi di moda di allora, che si appassionano immediatamente alla sua arte. Avedon, in particolare, gli propone presto di realizzare un lavoro che prenda la forma di un “giornale fotografico”, mostrando un po’ di più degli archivi di Lartigue. Aiutato da Bea Feitler, l’allora direttrice artistica di Harper’s Bazaar, pubblicano nel 1970 il Diary of a Century che lo consacra definitivamente tra i grandi della fotografia del XX secolo. Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia. Un interessante focus è inoltre riservato alle memorie che Lartigue scrisse negli anni ‘60 e ‘70, quando inizia a ricomporre i suoi album nei quali aveva raccolto tutti i suoi scatti.
JACQUES HENRI LARTIGUE.
L’invenzione della felicità. Fotografie
Casa dei Tre Oci
Fondamenta delle Zitelle, 43,
Giudecca, Venezia
Fino al 12 giugno 2020
Note biografiche
Jacques-Henri Lartigue (1894-1986) è nato a Courbevoie, Francia, ed è cresciuto a Parigi. Suo padre, un uomo d'affari e appassionato fotografo dilettante, gli regalò la prima macchina fotografica all'età di sette anni. Lui era attratto precocemente dal movimento, infatti le sue prime istantanee riguardano il tennis, il nuoto, e altri giochi. A partire dal 1904 inizia con alcuni esperimenti fotografici. L'esempio più rappresentativo di queste prove è costituito dalle sovrimpressioni per creare foto di “pseudo fantasmi”. Automobili e aeroplani, ma più in generale il movimento, diverranno poi tra i soggetti preferiti da Lartigue. In questi anni comincia a delinearsi la filosofia che poi caratterizzerà tutta la sua vita: il culto della felicità, la ricerca di un idillio che non possa essere turbato da traumi profondi. Tale ideale, che si rispecchia a pieno con il periodo della Belle Époque, viene rappresentato dalle fotografie di serate mondane e eleganti dame a passeggio al Bois de Boulogne, che lo interessano fin da giovane. Parallelamente, in piena prima guerra mondiale, Lartigue decide di dedicarsi alla pittura. In questi anni, lavora anche come scenografo, illustratore e fotografo di scena, iniziando a frequentare personalità di spicco del mondo dell’arte e del cinema. Lartigue arrivò alla notorietà molto tardi, aprendosi al pubblico americano attraverso una mostra fotografica organizzata da John Szarkowski nel 1963 al Museum of Modern Art di New York, che ha visto Jacques-Henri Lartigue come "il precursore di tutto ciò che è vivace e interessante nel mezzo del 20° secolo". Il fotografo Jacques Henri Lartigue è un esempio d’artista la cui opera è pervasa da un forte dilettantismo. Parte delle sue opere più famose risalgono a quando era un bambino. In queste è facile riscontrare un senso evidente d’infantilismo, nel senso migliore della parola. Esteticamente, mostrano un mondo pieno di energia, movimento, velocità, divertimento: le cose che attraggono i ragazzi. Del resto, cosa attendersi di più? Jacques era figlio del dodicesimo uomo più ricco di Francia. I motori facevano parte della sua vita, anche attraverso un padre che viveva le corse direttamente. Una curiosità, al tempo esistevano nel territorio d’oltralpe 102 fabbricanti di automobili. Ancora due curiosità sul fotografo francese. Come abbiamo detto, giunse alla notorietà negli Stati Uniti, relativamente tardi rispetto alla carriera. Un servizio su di lui venne pubblicato su LIFE che dedicava molte pagine all’omicidio di J.F. Kennedy. La moglie ebbe modo di dire che un po’ di fortuna non guastava, avendo temuto che l’assassinio presidenziale avrebbe potuto far saltare i piani editoriali del magazine. Noi crediamo che Lartigue sia stato realmente fortunato, inconsapevolmente; e che le sue fotografie vivano proprio di un entusiasmo incondizionato e vero: quello che deriva da tanti scatti alla scoperta di un mondo privato, ma gigantesco e opulento. Belle sono le macchine e le donne, compreso le mogli che hanno riempito la sua vita. Non traspare comunque nessuna alterigia dagli scatti: tutto è solo più alto e, ahinoi, inaccessibile ai più. Per finire, l’editore Taschen ha inserito “Car Trip” tra le cinquanta foto più importanti del secolo scorso. Un’altra fortuna? Lartigue muore il 12 settembre del 1986 a Nizza, all’età di novantadue anni, restando nell’immaginario della gente come il testimone privilegiato di un’età d’oro.
Il fotografo della felicità
Parlando di felicità, in fotografia la scelta cade inevitabilmente su Jacques-Henri Lartigue. Ne parleremo in profondità, per quanto ne siamo capaci; scopriremo tra l’altro come si possa lasciare il segno pur essendo semplici amatori. Al nostro è capitato, ma era molto bravo. La parola “dilettante” ha due significati. Nel suo senso classico del termine, rappresenta l'opposto di professionista; si riferisce così a coloro che perseguono un obiettivo per amore, piuttosto che per le ricompense che potranno arrivare. In questo senso la parola identifica spesso i praticanti più sofisticati. Molti dei più grandi nomi della fotografia sono stati “amatori” puri, così come tanti altri che, anche se “a pagamento” durante la settimana, hanno svolto il loro miglior lavoro durante il fine settimana. Il secondo significato della parola “dilettante”, diverso e diffuso, identifica colui che svolge il proprio lavoro in mancanza di tutta la competenza necessaria, oltretutto senza i toni seri e gravi tipici del professionista. A quest’ultimo potrà essere concesso di non essere totalmente preparato, ma mai potrà perdere i comportamenti di colui che opera per un Cliente. Questo secondo tipo di dilettante generalmente vive tra mille ostacoli e unicamente del proprio talento, che poi non è quasi mai abbastanza. Ci sono, tuttavia, rare occasioni nelle quali un talento eccezionale, accomunato a una nuova tecnica (mai sfruttata prima) si combinano in una personalità ingenua e spregiudicata come quella di un bambino. In questi casi (rari, a dire il vero) i risultati possono essere sorprendenti. Nei primi del ‘900 Jacques Henri Lartigue era un bambino e aveva iniziato a scattare già dall’età di dieci anni, quando nacque la sua passione per la fotografia e la pittura. Lui era un privilegiato, questo è certo, ma ha fatto del suo meglio proprio partendo dai vantaggi a disposizione. Guardando le sue immagini, si potrebbe supporre che la vita della sua famiglia sia stata dedicata interamente alla ricerca del divertimento: la spiaggia, la pista, le belle donne in abiti eleganti, le automobili di lusso, le macchine volanti e ogni sorta di splendido beneficio, compresa la fotografia ovviamente. Anche se Lartigue fosse stato un fotografo comune, o addirittura banale, la documentazione da lui tramandata avrebbe rappresentato un bene prezioso. In realtà lui era un fotografo dal talento meraviglioso. Colse immagini memorabili con lo stile di un grande, a cui è stato offerto il beneficio di vedere chiaramente e a fondo. Lartigue non ha avuto alcun effetto percepibile sullo sviluppo della fotografia nel ventesimo secolo, dal momento che il suo lavoro rimase praticamente sconosciuto per cinquant’anni e più, quando era già stato portato a termine quasi nella sua interezza. Quando le sue immagini vennero alla luce, apparirono persino inevitabili: forse perché evidenziavano “modalità d’uso” in voga al momento. Sarebbe stato meglio considerare che quelle fotografie le aveva scattate un bambino, cinque decenni prima.
Una felicità a volte difficile
Lartigue aveva due diari, uno scritto e uno fotografico. Fin dall’infanzia annotava di continuo ogni evento della sua vita, nel tentativo di consolidare gli attimi felici, provando quasi a fermarli. Già questo nasconde un po’ di malinconia, quasi che la contentezza debba essere un evento obbligato, povero di spontaneità, razionale addirittura. Certo, lui era nato in una facoltosa famiglia francese. Trascorse un’infanzia tranquilla da bambino spensierato, il che si proietterà in tutta la sua vita longeva. Lusso e belle donne, infatti, costituiranno il tema portante delle sue fotografie. Per tale ragione è stato chiamato il “fotografo della felicità”. Ma questa è una lettura dall’esterno, con un occhio d’invidia. Si può essere felici cancellando dai diari tutti i momenti tristi? Lartigue lo fece. Il risultato non è forse una narrazione irreale? Probabilmente. Anche lui, però, visse degli attimi difficili: l’epidemia della spagnola (ne sappiamo qualcosa anche noi, oggi), la morte della sua seconda figlia o i ripetuti divorzi, ma tutto ciò è stato cancellato dalle raccolte fotografiche nel tentativo di ricostruire, a ritroso per giunta, un’esistenza perfetta, senza ombre. Ecco emergere allora una malinconia dolciastra, edulcorata dall’eccesso, eppure sempre presente; e crediamo che anche questo faccia parte della fotografie di Lartigue. Se ci piacciono tanto (perché è così), in parte lo dobbiamo a una tristezza necessaria e obbligata. Ogni immagine che vediamo racchiude il ricordo di un tempo perso, non più afferrabile, irrimediabilmente passato nella polvere alzata da un’auto da corsa o dietro il sorriso di una donna ormai troppo bella.
Buona fotografia a tutti